di Fiammetta Filippelli
L’universo poetico di Giuseppe Limone è ricco di territori tematici e di tonalità espressive al punto da farsi percepire dal lettore come un’affascinante esperienza di vertigine interpretativa. Si è appena giunti all’individuazione di una cifra espressiva, che possa essere colta come più nettamente caratterizzante la poetica di Limone, che già altre prove liriche propongono ulteriori, e forse più ampie, chiavi di lettura critica. Una ricca varietà di materiale poetico che ha, dunque, il senso di una ricerca stilistica inesausta, con l’ambigua valenza di una creatività autentica e in via di compiuta definizione formale.
Tra le molteplici suggestioni tratte dalla lettura della sua poesia, vorrei concentrarmi su quella che maggiormente ha sollecitato in me adesione emotiva, ossia l’immagine paterna come figura di angelo. In tal senso emerge il valore emblematico della lirica tratta dalla raccolta Fenicia. Sogno di una stella a nord-ovest, ossia “2 febbraio, a mio padre”, laddove la fitta concatenazione di immagini vale a rappresentare non solo il culto di una memoria esistenziale, ma la devozione verso la presenza fortemente interiorizzata della creatura angelica di cui parla Massimo Cacciari nel suo interessante libro, intitolato L’Angelo necessario. Ebbene, se l’angelo non è figura d’ingenuo candore fantastico, che in modo esornativo tracci il disegno di un’idea consolatoria di bontà mediatrice tra il cielo e la terra, ma è immagine della necessità di cogliere l’essenza dell’invisibile come punto di forza dell’attribuzione di senso alla realtà nella sua interezza, allora la sua funzione di custode della tensione umana verso l’immateriale e, al contempo, di guida orientativa per le concrete strade del mondo diviene necessaria.
Lo sapeva bene Rilke, che nella stessa incolmabile distanza tra l’uomo e l’angelo coglieva tratti di una dialogante partecipazione, in cui la tristezza umana sembra permeare di sé anche lo sguardo dell’angelo, che fa sentire la sua presenza costante nella ricerca di senso che il poeta identifica con il suo stesso esistere.