La rivoluzione come bellezza

di Giuseppe Limone

di Elèna Italiano

Scegliere due parole come rivoluzione e bellezza così propulsive di carica epistemologica ed evocativa, e impiegate al contempo in plurimi registri linguistici fino all’abuso e alla denaturalizzazione semantica delle stesse, è quanto meno ardito. Quando si ha a che fare con termini così gravidi simbolicamente e polisemanticamente, l’approccio di chi li utilizza – oscillando tra la persuasione retorica e l’enfasi poetica – rischia di far restare il discorso inviluppato in considerazioni meramente soggettive, incapaci di messaggi universali. Inoltre se si può essere d’accordo su quale sia il significato da attribuire alla parola “rivoluzione”, altrettanto non avviene per il termine “bellezza”, che rinvia a una percezione soggettiva di cosa sia degno di essere considerato universalmente bello; e tuttavia se è vero questo, non può essere altresì ignorata la considerazione che ogni universale non può far a meno del particolare, matrice e parte dello stesso.

Il termine rivoluzione ha in sé un dinamismo centripeto e centrifugo che inizialmente sembra stridere con l’assetto armonico di cui il termine “bellezza” è suscettivo. Tuttavia se sostituiamo la parola “bellezza” con la parola “poesia”, lo stridore si smorza. Sembra essere affievolito: la distanza tra poesia e rivoluzione appare assai minore. Perché? Perché emerge con maggior nitidezza un luogo comune: il sentimento poetico e il sentimento rivoluzionario sono animati da un medesimo cuore pulsante di cui il fuoco può essere l’ipostatizzazione iconografica. Il poeta avverte un fuoco dentro di sé. E l’insidia maggiore risiede nel plasmarne in inchiostro l’energia. Il rivoluzionario avverte un fuoco dentro di sé. E l’insidia maggiore risiede nel saperlo gestire, senza farlo smorzare. Senza farsi incenerire. Così come la poesia, anche la rivoluzione nasce dall’esigenza di un’inversione delle gerarchie, delle priorità. Da un capovolgimento del sentire. Da una virata nell’immedesimazione. Da una fiumana di istanze nuove chiamate a nascere dal soffio dell’onore, figlio del pudor tradito. Non sarà casuale infatti che in greco “pudore” e “onore” sono tradotti con il medesimo termine: aidós.

 

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