di Gianluigi Genovese
Caro Giuseppe,
il respiro dei ricordi di gioventù riscalda sempre il cuore, perciò ti sono grato per avermi dato la possibilità di ritornare con la mente alle fonti della nostra amicizia.
Un ricordo che diventa sogno a occhi aperti in cui rivivono anni ormai lontani, quando l’estate era calda, l’inverno era freddo e a scuola si studiava. Riprovo l’emozione delle passeggiate in campagne profumate da uva fragola, quando ci accontentavamo di osservare la natura, ammirando il sorgere del sole, un tramonto sul mare o di farci bagnare da una pioggia leggera, riempiendo i polmoni con la freschezza e l’aroma degli alberi impregnati d’acqua.
Erano quelli i giorni della paura per gli incombenti esami di maturità: tutte le materie dell’ultimo anno e la sintesi di quelle degli anni precedenti…
O tempora o mores!
Umberto Cinquegrana, tu ed io eravamo gli unici in Sant’Arpino a dover sostenere gli esami e, come accade sempre di fronte a una grossa impresa o a un pericolo sovrastante, decidemmo di unire le nostre forze.
La tua abitazione diventò il nostro quartier generale, il nostro campo di battaglia, per cimentarci con Hegel e la trigonometria, Garibaldi e Ugo Foscolo, la genesi dei continenti o i poemi di Orazio.
Faceva caldo, un caldo umido che a volte toglieva il respiro, durante quel mese di Luglio. Il terrazzo di casa tua ci ha visto cercare avidamente un angolo di frescura e il sollievo di una bibita fresca durante i rari momenti di pausa.
Rivivo le cure amorevoli di tua mamma che arrivava puntualmente con il caffè nei bicchieri di vetro, peculiarità che è rimasta sempre impressa nella mia mente.
Il tempo era poco e le materie tante, gli argomenti da approfondire impegnativi, soprattutto per il modo in cui volevamo prepararci.