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A Giuseppe Limone, al suo viaggio

di Giuseppe Limone

di Maria Teresa Ciammaruconi

Mio caro Giuseppe, a volte penso di odiarti.

Eh sì, perché io ho speso la vita a mascherare sentimenti, a economizzare sulle parole, a cercare mediatori stilistici per sdoganare almeno le emozioni più prepotenti ed ecco che arrivi tu nella sfrontata innocenza dei capelli bianchi, accompagnato da schiere di angeli che ti sorridono scortandoti nell’ascensione al monte Carmelo e ti guidano poi nella discesa attraverso la babele delle città.

Ma ecco che tra i palazzi e gli incroci, dopo avere pensato di avere scelto strade lontane dalle tue, ti ritrovo.

Quanto le abbiamo amate le città! Creature meticcie (le chiameresti) di storia millenaria, congerie generata dall’incontro di piccole storie vive e incommensurabili, invisibili eppure necessarie, tutte. Perché la conosciamo bene la potenza dell’invisibile e tu consumi la tua ventura come un cavaliere antico, sul confine, dove veglia l’angelo…: visibile/invisibile/; vita/morte; finito/infinito; umano/divino. Stai là sul tuo cavallo di utopie, pronto a infrangere le convenzioni perché il confine non sia separazione da subire, ma dono divino dove rendere onore al miracolo del contatto.

Onore. Ecco una parola che ritorna nel tuo viaggio, per te pietra miliare inevitabile, impossibile per me che l’ho relegata tra le specie in via di estinzione. L’ho ritrovata la parola onore, da poco, in una lettera di mio nonno, cavaliere di Vittorio Veneto. Ecco, io non avrei mai osato un termine che mi riportasse sulle trincee del Carso. Ma per la strada lungo la quale ti seguo a distanza, inciampo in un vaso di coccio, piccolo come quello in cui si custodiva il lievito del pane e lì ritrovo il tuo Onore. È un piccolo ventre sopravvissuto al crollo delle città e delle civiltà, nella steppa delle libertà senza valori, salvato dal contagio del male che ha portato al banco dei pegni il futuro/ e i bambini/ in cambio del presente. Il tuo Onore è pronto a reimpastarsi nella massa infida degli eventi che ci è dato vivere, fiducioso di rinnovata fecondità e incendiaria palingenesi.

 

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